sabato 21 luglio 2012

 

Sono in una camera di albergo con balcone che affaccia sulla città. Con me ci sono tutti i miei amici. Stanno organizzando per andare a ballare, parlano concitati. Alla fine si decidono ed escono, ma scendendo dal balcone. Io gli dico che li raggiungerò a breve, mentre mi aggiro per la stanza. Sono terrorizzato dall’idea di dimenticarmi qualcosa di fondamentale. Un gruppetto è rimasto e continua a chiacchierare, mentre io mi rendo conto che è sempre più tardi. Sul comodino c’è un registratore, ci sono incisi dei colloqui di lavoro e mi viene in mente che non ho registrato il mio, pazienza.

 Alla fine mi decido, indosso le ciabatte (?) e vado verso il balcone. Lascio le luci della stanza accese. Salgo sulla ringhiera e guardo giù. Il balcone successivo è diversi metri più in basso, prendo la rincorsa e atterro. Guardo il successivo. Due o tre balconi dopo dovrò camminare su una rete di fili del tram appena visibile, sospesa sul vuoto.

mercoledì 2 novembre 2011

il sicario


Sono davanti all'entrata del PSI (non è esattamente come nella realtà), Villigen (Switzerland). C'è un po' di gente sparsa: alcuni parlano in gruppetti circolari fermi davanti all'ingresso; altri, in solitario, si avviano verso il cancello. Tra questi ultimi c'è un uomo sulla quarantina, magro e di altezza media; ha un viso spigoloso, pallido e nascosto dietro ad un enorme paio di occhiali da vista tondi; calvo, indossa una camicia a quadrettoni azzurri e bianchi, infilata in un paio di jeans larghi, retti da una cintura marrone scuro. Io osservo il tutto dall'altro lato della strada. Guardo il tipo appena descritto: so che è una persona malvagia, ha commesso qualcosa di brutto (ma non ricordo cosa). Lo osservo mentre si avvia verso l'ingresso del PSI. Rallenta un po' per salutare alcune persone. In quel momento, arriva un uomo su una moto nera (una Kawasaki o simile). Appena lo vedo, capisco che è un sicario. Infatti, fa una sgommata vicino all'uomo occhialuto, tira fuori una pistola e gli spara due colpi, uccidendolo. Ha difficoltà a ripartire perché deve fare tutto con una mano sola, in quanto con l'altra regge una bimba sui 5-6 mesi davanti a sé. Salto al volo sulla moto e gli grido: "Parti! Parti! Il casco te lo allaccio io!" (anche se poi il casco non lo indossava e non lo indossa neanche dopo) e ripartiamo sgommando. Il sicario è un uomo sulla trentina; ha un viso giovanile e, se non fosse per la leggera traccia di una barba incolta scura, sembrerebbe un adolescente. E' vestito tutto di nero: pantaloni, mocassini, guanti e dolcevita. L'unica nota di colore è data dai suoi capelli (lunghi fino al collo, lisci e sottili e di un castano chiaro, quasi biondi) e dalla bimba, che ha la pelle candida candida ed indossa una tutina ed un cappellino rosa confetto. Mentre siamo in moto, il sicario ed io ci scambiamo qualche parola (non ricordo riguardo a che cosa), ma non ci diciamo i nostri nomi o chi siamo. Mentre sfrecciamo per strade di campagna e mi reggo a lui, gli chiedo, alzando la voce cercando di sovrastare il rumore della moto e del vento: "Sei di Bologna o di qualche zona vicina? Hai un vago accento bolognese. Lo trovo molto affascinante!". Sorride in risposta.
Come accade spesso nei sogni, le cose possono cambiare all'improvviso senza che ciò crei discontinuità nella storia. Il sicario ed io ora siamo seduti in una Ferrari rossa (la bimba non è più con noi) e ci dirigiamo verso una cittadina (non so quale, ma è uno di quei paesini tipici della montagna, con case dai tetti a spioventi, bianche, con le scuri di legno e i comignoli sempre fumanti). Esprimo ad alta voce i miei pensieri e le mie deduzioni sul suo conto: "Una macchina del genere costa parecchio e se la può permettere solo qualcuno veramente ricco. Devono pagarli bene i tuoi servigi...". In tutta risposta, mentre siamo fermi ad un semaforo all'ingresso della città, lui tenta di sedurmi. Ma io penso ad A. e lo respingo. Anche se lo trovo intrigante (ma più perché sono vittima del fascino del male che per altro), ciò che mi spinge a star seduta in quell'auto con lui è semplice curiosità per un personaggio mai incontrato prima. Sono curiosa di sapere la sua storia, di capire come fa a mantenersi così tranquillo e sereno (all'apparenza) dopo aver appena ucciso una persona (che, per quanto malvagia, è pur sempre un essere vivente). Perciò, non cedo alle sue avance. Ed anche se gli spiego la situazione, sottolineandogli che amo moltissimo A. e non farei mai nulla per ferirlo o perderlo, lui continua a provarci, convinto di riuscire a conquistarmi.
Devo andare ad un matrimonio e gli dico che ci si vede dopo, appena riesco a svignarmela.
Il pranzo del matrimonio si è tenuto in un piccolo albergo che si chiama Le quattro orme. L'entrata è ad arco, con due enormi battenti di vetro contornato con legno noce. Sotto la chiave di volta, su un pannello di vetro, campeggia il logo dell'albergo: un letto stilizzato, sulle cui lenzuola campeggiano quattro orme di orso. Dopo la porta, ai lati dell'ingresso, ci sono due sale: in una ci sono tutti gli invitati e gli sposi (che non vedo e perciò non so chi siano); nell'altro, tutti i tavoli sono vuoti, e ci siamo soltanto la mia amica D. ed io. L'ambiente è tutto sulle tonalità del rosa antico, del bianco e del legno: pareti e tovaglie rosa; tende, sottotovaglie e soffitto bianchi; pavimenti di parquet chiaro e sedie di legno scuro; il tutto avvolto da una luce gialla, che dà un senso di calore. Siamo sedute ad un tavolo vicino alla porta da cui intravediamo l'altra sala. C'è un silenzio pesante, non c'è alcun movimento e ci troviamo a pensare che questo sia il matrimonio più triste mai visto. La scena cambia di nuovo, improvvisamente ma senza discontinuità. Il ricevimento del matrimonio continua in un posto strano: è un enorme bar, con un lungo bancone ed una sala immensa con tanti sofà da un posto di pelle bianca o nera sparsi ovunque secondo una geometria che ricorda un labirinto; pareti, pavimento e soffitto sono di un blu notte lucido, come se tutto fosse fatto di una pietra levigata tipo ossidiana. Al centro della sala, c'è una grandissima piscina, con tanto di cascata ed un paio di grandi scogli. Sugli scogli ci sono tante persone abbarbicate, tra cui riconosco un mio compagno del liceo, S. Accanto a lui c'è un ragazzo di carnagione chiara, capelli castani squadrati (mi fanno pensare a quelle siepi tagliate con precisione maniacale) ed indossa un boxer rosso con strisce blu laterali. E' amico di S. ed è il bagnino della piscina. E' lui che mi aiuta ad arrampicarmi sullo scoglio. Dall'altro lato dello scoglio, c'è un ragazzo dalla pelle abbronzata, capelli neri rasati e due occhi scuri, dai tratti vagamente afro-americani. Qualsiasi cosa io faccio, questo mi guarda male o mi offende (non ricordo cosa mi dice). Stanca di questi suoi maltrattamenti, esco dalla piscina e D. ed io ci andiamo a sedere su due sofà bianchi. Accanto a noi vengono a sedersi altri ragazzi, tra cui il ragazzo che mi trattava male. E' con una ragazza alta e snella, dal costume bianco, la pelle chiarissima e i capelli lunghissimi e liscissimi, castani. Si siedono sullo stesso sofà nero, stringendosi per entrarci entrambi. Lei lo bacia; lui ricambia e poi mi lancia uno sguardo dispiaciuto, come per scusarsi del comportamento riservatomi poco prima. Mi giro dall'altro lato, infischiandomene. Prendo il cellulare e chiamo il sicario, dicendogli che posso finalmente andarmene dal matrimonio tristerrimo. Esco fuori dal locale (dall'avere solo un costume nero, ora sono di nuovo vestita) e mi trovo all'inizio di una strada, che sbuca su un incrocio ingarbugliato che è proprio davanti al locale. Questa strada, dall'incrocio, comincia con una curva, fiancheggiata da una parete rocciosa da un lato (sopra la quale sorge il locale da cui sono uscita) e dall'altro un campo di ulivi. Attraverso questo, in fondo, vedo alcune case e su una di queste riesco a leggere "Via del Riverbero, 42". Il sicario è arrivato in moto, è fermo sul ciglio della strada suddetta, sotto ad un ulivo. Vuole essere lui a riaccompagnarmi a casa. Così gli dico che devo prima andare ad avvisare Babbo e che spero non si arrabbi per il mio ritorno a casa con una persona che non conosce e che vada in moto. Quindi, torno dentro e trovo D., mio fratello M. e Babbo al bancone ad aspettarmi.
"Babbo, io torno a casa con un amico."
"Chi è questo amico?" - mi chiede in tono sospettoso.
"Un amico, Pà!" - dico un po' stizzita.
"E come torni?"
"Emm... lui ha la moto..."
Stranamente non si arrabbia come mi aspettavo, però è preoccupato: "Mi raccomando, andate piano, accendete le luci..." - e tante altre raccomandazioni a cui rispondo annuendo in modo scocciato. Poi, torno dal sicario. Ora è in Ferrari. Salgo su e dico: "Ma come? Ho fatto tanto per dire a Babbo che venivo in moto?"
"Pensavo non glielo dicessi..."
"Non mi andava di mentire quando mi ha chiesto con che mezzo andassimo. Ora sembrerà che l'ho fatto!"
Sorriso malizioso in risposta.
"Se hai cambiato mezzo così in fretta - dico - significa che vivi qui vicino..."
"Sì, infatti" - ed indica il navigatore, da cui vedo che il punto di partenza era Via del Riverbero 6. Appena passa la macchina di Babbo, partiamo anche noi. Indosso un cappellino americano con visiera e me lo calo ancor più sugli occhi e sprofondo nel sedile: non voglio farmi vedere da loro. Ma D. e M. si girano per salutarmi e Babbo mi guarda dallo specchietto retrovisore. Ricambio il saluto alzando una mano e spero che non pensino male: io sono fedele ad A. Ad un certo punto, prendiamo una strada diversa da quella del Babbo. Infatti, mentre lui prosegue dritto, noi giriamo a sinistra su una via che finisce dentro la hall di un hotel. Davanti a noi c'è una Mini Cooper bianca che improvvisamente si cappotta sulla sinistra, ma dolcemente. Il sicario ed io scendiamo a vedere cos'è successo. La macchina è poggiata su un lato. Apriamo solo la portiera per vedere se i due passeggeri stanno bene, ma non cerchiamo di tirarli fuori per non fare danni. Nel frattempo anche un ragazzo che era dietro di noi è sceso dall'auto per vedere la situazione ed è già al telefono con i soccorsi: "Siamo in Piazza delle Cinque Terre di Elia. Mi spiace, ma non posso far nulla, non ho i poteri del suddetto profeta" - e ride di gusto. Parla in modo strano, lentamente e con un marcato accento straniero. E' altissimo, con la pelle candida ed i capelli biondi cortissimi; ha due occhi celesti che mi colpiscono perché sembrano di ghiaccio. Guardo il sicario negli occhi e solo allora noto che ha lo sguardo triste. Poi...

Puff!

The end

sabato 22 ottobre 2011

Che cretini

Mi trovo all’imbocco di uno dei cavalcavia su via Tiburtina, sono con amici dell’università e professori nel mezzo di una qualche manifestazione. Davanti a noi sfilano i carabinieri in tenuta antisommossa che marciano a passo dell’oca lungo il cavalcavia. Noi fisici ridiamo e ci diciamo che cretini, i carabinieri, non lo sanno che a marciare sui ponti si rischia di entrare in risonanza e far crollare tutto?

venerdì 7 ottobre 2011

deliri febbricitanti



Da piccola, quando mi ammalavo di influenza ed avevo la febbre alta (sopra i 38.5), oltre ai deliri e all'iperattività incontrollati che mi venivano, c'era un sogno ricorrente che facevo.
Sogno alla fine della quale... vomitavo. Nella realtà. Davvero!
E' molto tempo che non faccio quel sogno, ma le ultime volte che lo feci, sapendo già come andava a finire, in uno stato di dormiveglia mi avviavo dal letto al bagno.
Comunque, raccontiamo!

Sono in uno dei due bagni di casa mia. Non è esattamente come nella realtà: quello onirico è grande il triplo, con il soffitto altissimo, almeno 6-7 metri di altezza. Gli oggetti, come lavandino, bidet, water e doccia, sono disposti come nella realtà, tranne in fondo: dove dovrebbe stare la finestra, si allarga uno spiazzo quadrato, di pareti bianchissime, dove io mi dirigo. Lì giacciono due enormi oggetti, che sfiorano il soffitto, e che da piccola chiamavo "involtini di stoffa". Ancora non saprei come definirli: sono degli enormi stuzzicadenti messi a 45°, intorno ai quali sono avvolti delle stoffe colorate (quello a sinistra ha stoffe color magenta, quello a destra blu). Mi vedo dall'esterno: vedo me stessa accanto ai mastodontici involtini, in prospettiva, da molto lontano. La me che guardo sta osservando gli involtini, dalla base fino al soffitto. Poi, si gira ed esce dal bagno. Ora mi seguo più da vicino, come se fossi esattamente dietro la me onirica. Si ritrova nel corridoio di casa mia, come effettivamente dovrebbe è nella realtà, e gira a sinistra per andare in camera di mia madre. Lì è tutto esattamente come nella realtà: dalla porta, esattamente di fronte, c'è la tv e, alla destra di questa, c'è la cassettiera e, alla sinistra, l'armadio e infine la finestra; di fronte all'armadio c'è il letto matrimoniale. C'è soltanto un particolare in più: un filo sottilissimo d'acciaio le cui estremità sono una sulla cassettiera e l'altra alla finestra. Appena arrivata in camera di mamma, riprendo possesso del mio corpo e vedo il tutto dagli occhi della me onirica. Il mio sguardo è attratto da un luccichio (che mi permette di identificare il filo d'acciaio) all'inizio del filo. La luce corre sul filo ed io la seguo con lo sguardo. Appena arriva all'altra estremità (quella alla finestra)... puff! Mi sveglio.

martedì 7 giugno 2011

Otranto è una città bellissima


Otranto è una città bellissima. Io e X siamo nella piazza centrale e ci guardiamo intorno. Da dove siamo noi il pavimento piastrellato scende dolcemente verso i palazzi tutt'intorno, che sembrano quelli di piazza del Campo a Siena. Le tegole marroni brillano al Sole. Io e X ci prendiamo per mano e camminiamo. X è contenta perché il suo precedente viaggio in Sicilia (sic) non le era piaciuto. Al centro della piazza c'è un grande voragine circolare, delle scale mobili portano a un piano inferiore su cui la piazza affaccia come un soppalco.

Scendiamo. Tra le colonne si muovono delle donne giapponesi in divisa da fabbrica che portano gatti da un tavolo all'altro. All'inizio penso a una mostra felina, poi vedo un cartello dove è raffigurato quello che fanno veramente: li uccidono su delle piastre roventi. Sul pavimento c'è una macchia di sangue. Ma in un certo senso tutta l'atmosfera è tranquilla. Ci allontaniamo, saliamo su delle scale mobili che ci portano a un piano intermedio, un supermercato, in cui compro alcune cose. Quando sono già alla cassa prendo anche un quaderno e comincio a scriverci degli appunti di Fisica. Alla fine chiedo al commesso se me l'ha conteggiato nella spesa e mi risponde di no.